Cresce lo Smart Working in Italia: Ma le PMI Restano Indietro!

Il fenomeno del lavoro agile ha assunto contorni sempre più definiti nel panorama lavorativo italiano. Nonostante una crescente accettazione e l’adozione di questa modalità, le piccole e medie imprese sembrano seguire una direzione opposta rispetto alle grandi aziende e alle pubbliche amministrazioni. L’analisi dell’Osservatorio del Politecnico di Milano offre una panoramica interessante su come lo smart working si stia evolvendo, ma anche su quali sfide restano da affrontare.

Le PMI, pur avendo riconosciuto il valore dello smart working, mostrano una certa resistenza nell’adottare questa forma di lavoro. La contraddizione tra l’aumento del lavoro agile e la diminuzione della sua applicazione in queste realtà imprenditoriali suscita domande e riflessioni. Scopriamo insieme i dati e le politiche che caratterizzano il mondo del lavoro agile in Italia.

I dati sul lavoro agile in Italia

Dalla ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano emerge un quadro dettagliato. Nel 2025, il numero di lavoratori coinvolti nel lavoro agile ha raggiunto i 3.575.000, con un incremento dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Il settore pubblico ha registrato il più significativo aumento, con un +11%, arrivando a un 17% di dipendenti in modalità smart, pari a 555.000 persone.

Nei grandi gruppi, il 53% dei lavoratori svolge almeno qualche giorno di smart working a settimana, segnando un aumento dell’1,8% (1.945.000 persone). Tuttavia, nelle piccole e medie imprese, si nota una flessione significativa, con una diminuzione del 7,7% nelle PMI e del 4,8% nelle microimprese, portando il lavoro remoto a rappresentare solo l’8% del totale.

Le strategie aziendali per il lavoro agile

Un aspetto interessante è come i lavoratori accolgano questa modalità. Nelle grandi aziende, solo il 15% utilizza meno giorni di smart working del previsto, principalmente a causa della necessità di recarsi in sede per motivi urgenti. Nelle pubbliche amministrazioni, questa percentuale sale al 28%, in gran parte per scelte personali.

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Le PMI presentano una situazione variegata: circa la metà dei dipendenti lavora da remoto seguendo quanto stabilito dagli accordi, mentre il 22% sfrutta meno questa opportunità. Curiosamente, un 15% utilizza più giorni di smart working, approfittando di una maggiore flessibilità. In queste realtà, spesso non esistono procedure formalizzate; i dipendenti tendono a concordare direttamente con i loro superiori, a differenza delle grandi aziende e delle PA che seguono linee guida più rigide.

La modalità di lavoro ibrida si conferma la più diffusa, con i dipendenti che suddividono il loro tempo tra smart working e presenza in sede. La decisione su quali giorni lavorare in remoto è spesso presa in modo collaborativo, tenendo conto delle esigenze individuali e aziendali.

Le opportunità offerte dallo smart working

Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working, mette in evidenza che il vero interrogativo per i manager non è più se adottare lo smart working, ma come migliorare i modelli esistenti. È fondamentale evitare che queste pratiche diventino routine e non garantiscano il miglioramento continuo. Per sfruttare al meglio il potenziale trasformativo dello smart working, è essenziale che leader e collaboratori lavorino insieme per definire e perseguire obiettivi chiari, delegare responsabilità e sentirsi coinvolti nei risultati.

I margini di miglioramento sono notevoli. Tra i dipendenti che non lavorano da remoto, il 21% afferma di poter svolgere almeno metà delle proprie attività da un luogo diverso dalla sede aziendale con la stessa efficacia e attrezzatura. Questo suggerisce un potenziale di circa 3 milioni di nuovi smart worker, avvicinandoci al picco di 6,5 milioni toccato durante la pandemia.

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