Le cinque sviste di francese che tutti facciamo senza accorgercene: ti riconosci anche tu?

Le parole, come quei cioccolatini al liquore che ci offrono a Natale: sembrano innocue, poi ti sorprendi, a volte in modo dolce, altre amaramente! Il francese, proprio come la lingua di Molière, è piena di queste piccole trappole: termini che usiamo ogni giorno… magari sbagliando clamorosamente (e senza accorgercene!). Ma chi non sbaglia qualche volta? Addentriamoci insieme nelle cinque sviste di francese che tutti facciamo: magari ti ritrovi pure tu!

I trabocchetti dell’avverbio: l’arte di creare nuove desinenze

L’errore è talmente frequente che quasi si perdona da solo (ci siamo cascati tutti almeno una volta!). Parliamo della differenza tra gli avverbi che finiscono in “-ement” e quelli in “-ément”. La confusione nasce da termini come délibérément o décidément, costruiti sul participio passato in “é”, che fanno venire voglia di appiccicare lo stesso accento anche ad altri avverbi: motivo per cui si trovano versioni sbagliate del tipo commodément, énormément, intensément al posto dei più corretti commodement, énormement, intensement. E per l’avverbio derivato da précoce, la scelta giusta resta précocement, anche se ogni tanto capita di leggere (o sentire) uno strampalato précocément… Ma la lingua, si sa, è una creatura viva e ribelle.

Quando l’avverbio è di troppo: per esempio “obligatoirement”

Sembra una frase innocua, invece ci nascondiamo un’aggiunta inutile quanto un maglione di lana a luglio. L’avverbio “obligatoirement” significa — lo ribadiscono perfino gli accademici francesi — “in modo obbligatorio, in virtù di un obbligo” e, per estensione, “necessariamente, inevitabilmente”. Si impiega anche nel linguaggio comune per riferirsi a quel legame morale o giuridico che costringe a compiere certe azioni. Detto ciò, aggiungere “obligatoirement” dopo il verbo “devoir” è ripetitivo, se non ridondante. Meglio restare asciutti: devi farlo prima di domani o devi essere munito di un documento d’identità suona più snello e corretto, senza abbellire inutilmente la frase con l’adverbio.

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L’anglomania e il verbo “confronter”: attenzione al passivo!

Qui la colpa è tutta dell’inglese! Il verbo “confronter” in francese giuridico significa “mettere due persone a confronto per verificare le loro dichiarazioni”. Si usa in contesti tipo: “confronter dei testimoni con l’imputato”. Oppure, nella lingua di tutti i giorni, serve per avvicinare due cose e confrontarle: confronter deux écritures, confronter des programmes politiques. Ma attenzione, ammoniscono i saggi: non bisogna usare il participio passivo — come nel calco inglese “to be confronted with” — per intendere “trovarsi alle prese” o “dover affrontare” un ostacolo. La precisione lessicale non è una mania da accademici: è il vero sale della conversazione.

Paraphe non è “signature” e la trappola dei paronimi

  • Paraphe vs Signature: Il termine è elegante e piace sempre snocciolare sinonimi per fare bella figura. Peccato che paraphe non significhi affatto signature. Secondo l’Académie, la confusione nasce dal termine parapheur, il raccoglitore dove si inseriscono i documenti da firmare. Originariamente, il “paraphe” era un tratto decorativo aggiunto alla propria firma (un segno per renderla meno falsificabile), diventato poi la firma semplificata — spesso solo le iniziali — che si mette su ogni pagina di un atto ufficiale per autenticarlo. Quindi: meglio chiedere la signature al passaporto o su un contratto, non il paraphe!
  • Acception e Acceptation: Ahi, i famigerati paronimi (o falsi amici)! La differenza tra acception e acceptation sfugge a molti. La seconda indica l’atto di accettare qualcosa, con il proprio consenso o per rassegnazione: ad esempio “Avrò la risposta dopo l’acceptation del mio dossier”. Invece acception appartiene al lessico giuridico e rappresenta la preferenza per una persona a discapito di un’altra, oppure, più comunemente, il senso attribuito a una parola (“questo termine ha più acceptioni”, non più acceptationi!). La giustizia, si ricordi, non fa “acception” di nessuno!
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La lingua di Molière è fatta di molte sfumature, trabocchetti lessicali, anglicismi che si infilano subdolamente nelle pieghe della conversazione. E non è raro trovare discussioni animate: alcuni preferirebbero che si smettesse di parlare degli errori e ci si concentrasse piuttosto sul rischio che la lingua francese sta correndo, fra la preferenza istituzionale verso l’inglese (vedi presidente e polemiche mediatiche) e la pressione di nuovi linguaggi, neologismi, espressioni virali e derive sociali.

Morale della favola? Attenzione alle sfumature, ai sinonimi azzardati e agli anglicismi. Se ogni tanto inciampi, niente paura: capita ai migliori. Ma la cura della lingua — qualsiasi lingua — resta un atto d’amore. E tu, ti sei riconosciuto in almeno una di queste sviste? Ammettilo, anche solo mentalmente!

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