Affitti in nero? Cancellata la norma sulle sanzioni

Il problema dei contratti di affitto non registrati è un punto debole della nostra economia, in quanto nasconde al fisco, sia a livello nazionale sia in ambito più strettamente locale, un ammontare considerevole di entrate tributarie.

Per porre fine a questo scempio, nel 2011, il Governo introdusse una norma che permetteva agli inquilini di poter registrare ugualmente il contratto d’affitto, nel caso in cui il padrone di casa si rifiutava di farlo. Così facendo l’inquilino avrebbe usufruito di alcune agevolazioni quali:

  • un canone di affitto inferiore di circa il 70% ai normali canoni presenti sul mercato;
  • una durata del contratto di affitto pari alla durata classica di “quattro più quattro”, indipendentemente dalla durata concordata tra le parti.

Tale norma fu introdotta soprattutto per gli affitti nei confronti degli studenti universitari fuori sede, spesso oggetto di “ricatti” da parte dei proprietari degli immobili. Fin dall’inizio della sua entrata in vigore, però, a tale norma furono sollevate diverse questioni di legittimità soprattutto relativamente alla questione dell’ammontare del canone ed alla possibilità di sfratto in capo al proprietario nei confronti dell’inquilino moroso.

Molti tribunali, tra i quali quello di Salerno, Roma, Genova, Firenze e Palermo, sollevarono molteplici dubbi sul fatto che un inquilino potesse calpestare il diritto di proprietà del padrone di casa. In altre parole era accaduto che l’inquilino era stato accusato di morosità dal proprietario dell’immobile, ma si era rifiutato di lasciare i locali poiché accusava un ritardo di ben otto mesi nella registrazione del contratto di affitto rispetto all’inizio della effettiva locazione; ritardo che, secondo la legge in vigore, avrebbe fatto scattare le agevolazioni su canone e durata a favore dell’inquilino stesso.

La Corte Costituzionale non ha fatto altro che confermare la linea seguita dai Tribunali italiani, tutelando il diritto di proprietà, ma soprattutto, il principio di proporzionalità delle sanzioni rispetto al fatto sanzionato.

Fonte: Sentenza Corte Costituzionale 4/2014